Luis Gomez de Teran – Aika
- Luis Gomez De Teran -
Vernici al quarzo, chiodi e stucco
via Lazio
Ascoli Piceno (AP)
29 agosto-1 settembre 2018
Dopo aver tinteggiato sul muro un ritratto ispirato a una tela di Bouguereau, artista francese di fine ‘800, Gomez applica sul viso angelico uno spesso strato di stucco. Il suo gesto è un lieve graffio sopra un’immagine perfetta. Un colpo materico che rapisce subito l’osservatore. È proprio qui che subentra il rapporto tra l’opera d’arte urbana e il passante. L’obiettivo dell’artista è quello di esortare un confronto dialettico tra il dipinto e chi lo guarda. La realtà non è splendida e impeccabile, ma piena di problemi e sofferenze. È quindi un invito ad approfondire ciò che vediamo, uno stimolo percettivo che scuote gli animi.
“Forse. Forse è la parola che meglio mi aiuta a provare a descrivere quest’opera. Forse questa è un’opera nata per contrarietà e non è una bella cosa da confessare, né a me, né ad altri, ma forse per qualche tempo ho indugiato troppo nel rassicurare, nell’illudere, nel poetizzare e sentivo fosse il momento di cambiare. Da sempre, dietro la mia necessità di creare immagini, c’è una certa dose di incapacità a conciliarmi con il mondo e, forse, ultimamente l’avevo relegata un po’ troppo sullo sfondo, nel subliminale, nei simboli, nei dettagli. Forse perché è più facile rinfrancare gli animi, piuttosto che allarmarli. Forse queste sono, almeno in parte, le ragioni per cui dovevo tentare di riavvicinarmi a questo latente malanimo, recuperarlo e trasformarlo in un’esperienza estetica. Volevo dissacrare qualcosa di bello e volevo che nelle cifre, costruzione e decostruzione si bilanciassero. Donare qualcosa per poi sottrarlo, come succede nella realtà, con il ritmo che seguo da sempre, un passo avanti e due indietro. In due giorni ho visto nascere e accendersi una piccola storia d’amore tra la comunità locale e la bimba di Bouguerau, perfetta per irrompere con la sua immacolata grazia in un luogo in cui, per fatica o per condizione, non si coltiva bellezza, e capace di ammaliare in un attimo col suo sguardo gli occhi di chi ci vive. Quegli stessi occhi che, tristi e increduli, mi fissavano il terzo giorno, mentre alla luce del sole sottraevo una porzione di quella bellezza. Il sacrilegio non è stato facile e non è stato veloce. Trentacinque chili di stucco richiedono tempo e fatica per essere applicati e mentre maltrattavo, impiastravo e corrompevo, nella sicurezza del cestello alzato, immaginavo la gogna che mi aspettava a terra. Ma forse dovrei smettere di ritenermi sempre in grado di prevedere gli eventi. Perché, nonostante l’impatto iniziale, quella piccola fessura è diventata una porta per penetrare nell’immagine. Un’immagine che fino a quel punto aveva un solo senso di lettura, bello e falso, sacrificando un pezzo aveva guadagnato uno spettro di possibilità. Le persone che pensavo si sarebbero limitate alla condanna del gesto, dopo uno scambio di poche parole, hanno iniziato ad analizzare, a interpretare, a discutere. Ad apprezzare, forse più di prima. Forse a capire che, in una realtà fatta non solo di bellezza, in cui anche l’amore non è sempre gentile, un’opera non può e non deve solo rassicurare. O forse tutto questo l’ho ricordato io”.
Luis Gomez de Teran